sabato, luglio 15, 2006

Il punto di vista di chi non sa

L'argomento geopolitico del mese e' di nuovo Israele contro il resto del Medio Oriente.
La discussione sull'argomento e' straniante.
I commentatori italiani dei vari blogs continuano a commentare senza cognizione di causa e continuano a proporre gli stessi argomenti.
Voglio provare anch'io a fare la stessa cosa, mischiando vero e falso, fatti documentati e ipotesi altamente improbabili, sentire di parte (l'una e l'altra).
Alla fine del post, voglio vedere cosa ne esce fuori.

Israele e i paesi confinanti a esso avverso hanno una cosa in comune: pensano che l'altra parte sia uniformemente composta di puzzoni, violenti, incivili e prepotenti.
I commentatori italiani rispecchiano questa contrapposizione.
I commentatori italiani sono quelli che non hanno alcuna esperienza o conoscenza dei problemi dell'area se non quella acquisita in anni di informazione a senso unico e pesantemente alterata.
Sono pochissimi i commentatori su blogs italiani che, pur italiani, abbiano viaggiato a lungo in Medio Oriente, anche vivendo la', o che siano originari dell'area.
Queste persone non sono comunque imparziali, non possono esserlo a causa della formazione culturale e perche' non sono quasi mai storici o storiografi.
Il loro punto di vista e' nondimeno piu' utile di quello di chi difende Israele solo ed esclusivamente a causa della Shoah o di chi difende i palestinesi solo perche' sono stati espropriati.


Io oggi difendo Israele basandomi su una mappa dell'area. Quando vedo le dimensioni dello stato e la sua collocazione capisco il senso di accerchiamento che puo' provare una persona che viva li'.
Il fatto che il proprio esercito sia quantomeno in grado di opporre resistenza per mesi ad una eventuale, molto improbabile, invasione da parte degli eserciti degli stati confinanti, non e' rassicurante per questa persona.
Razionalmente aggiungere un sistema di allarme ad una porta blindata con doppia serratura, una elettronica e l'altra meccanica, non ha senso e diminuisce addirittura il rapporto tra sicurezza e investimento economico.
Le case pero' vengono protette cosi', senza una riflessione sui costi e i benefici, senza pensare che e' meglio investire in una bonifica del quartiere dove sorge l'abitazione, anche attraverso un aumento della spesa pubblica con il conseguente aumento delle tasse.
Allo stesso modo una persona che ha paura, che ha paura all'interno della propria nazione, continua ad approvare la spesa per migliorare il proprio esercito, contando solo sul potere dissuasivo della quantita' di armi in crescita continua.
L'idea di bonificare la zona non e' presa in considerazione perche' i tempi degli eventuali e non certi risultati sono oltre la capacita' predittiva standard del singolo.
Questa catena di paura-sfiducia-tensione-riarmo e' auto-generativa e non ha, di per se', bisogno di rinforzi.
Questi sono pero' stati forniti negli ultimi 60 anni dal complesso geopolitico che si definisce Occidente. Il senso di colpa derivato dall'aver consentito che una persecuzione di carattere economico verso un gruppo sociale, trascendesse verso un tentativo di eradicazione dello stesso gruppo ha portato l'Occidente a sostenere qualsiasi idea che favorisse il gruppo sociale stesso.
L'identificazione e' di carattere elementare; e' la stessa identificazione alla base delle persecuzioni e degli stermini pre-Shoah. Questi tentativi di segregazione permanente, le violenze, gli omicidi verso gli "ebrei" (tra virgolette volutamente a indicare qualsiasi persona che potesse essere ricondotta ad un antentato semita, pur di decima generazione), erano visti e sentiti come perdonabili, giustificabili con le accuse di deicidio, con le accuse di complotto mondiale.
A posteriori, dopo aver visto un evento immane come la Shoah, si potrebbe dire che la situazione aveva comunque raggiunto un equilibrio, sanguinario ma sufficientemente stabile e in grado di garantire un percorso di abbandono delle chiusure di casta da parte degli ortodossi ebraici e l'abbandono delle pratiche di demonizzazione da parte dei gentili.
L'Europa, tutta gli stati europei consentirono la rottura di questo equilibrio, consentendo con l'inazione, che il processo di sterminio continuasse dopo essere stato svelato, gia' in anni pre-conflitto.
Averlo consentito ha portato alla nascita del senso di colpa che oggi impedisce qualsiasi critica a Israele per la nuova identificazione tra tutte le persone di origine ebraica e Israele.
La Shoah come evento non e' grave per il numero di morti che ha provocato: e' grave per l'idea di eradicazione, di nuovo, degli indesiderati che fossero ebrei, omosessuali o zingari.
Disquisire sulla gravita' di tre milioni di morti di origine ebrea minore di sei milioni di morti di origine ebrea e' stupido se. Un errore storico, se riconosciuto, se giustificato da conteggi fatti in modo approssimativo, non inficia un intero resoconto storico, non annulla la realta' che e' fatta di micro-avvenimenti. Questo in presenza di un errore ammesso e riconosciuto tale.
Le persone di discendenza ebraica furono comunque la maggioranza delle vittime; non so se il mondo sarebbe cambiato se fossero stati gli omosessuali la categoria piu' falcidiata.
A volte discutere sulle cifre sembra un pretesto, per chi ne soffre, per diminuire il proprio senso di colpa ma ripeto che la gravita' della Shoah era il concetto che stava alla base del progetto di sterminio.
Israele si trova ora nella situazione di essere uno stato accerchiato, sorretto emotivamente da una gran parte dell'opinione pubblica europea.
E' inoltre uno stato che si comporta come tutti gli stati che hanno un forte status economico e politico: cerca di consolidare la sua forza, ragionando in termini di conquista del territorio.
Quantitativamente i Territori Occupati non sono un granche' ma il loro valore simbolico e' enorme.
Quello che quantitivamente conta e' la presenza di un gruppo sociale palestinese, o formato da persone di origine palestinese, sparso nei paesi dell'area.
Un gruppo che viene stimato sui dieci milioni di persone.
Negare che esistano, demonizzarli, trattare queste persone come un unico nemico, porta ad una contrapposizione bilaterale, in cui emergono le guide piu' radicali e carismatiche, che sanno individuare i temi piu' sensibili, che sono quelli piu' viscerali.
Riscrivere da qui in avanti il mio commento, dal punto di vista palestinese e' semplice.
Valgono i concetti di accerchiamento o meglio di ghettizzazione, di senso di colpa di molti stati europei per non aver previsto le conseguenze geopolitiche delle scelte prima della Societa' delle Nazioni e poi dell'ONU.
Cambia una cosa fondamentale: la rappresentazione mediatica favorevole ,che e' per la maggioranza degli esterni al conflitto e all'area, l'unico modo di conoscere i fatti.
I "palestinesi" (qui tra virgolette volutamente) sono considerati poco dai media dell'area. C'e' molto meno sostegno alla causa palestinese, intesa come creazione di una nazione chiamata Palestina. Il sostegno e' funzionale a contrastare la presenza di Israele utilizzando persone di cui nessuno sembra curarsi veramente.
Questa perdita di dignita' viene dall'assenza di una vera identita' nazionale. E' ancora oggetto di litigi furiosi tra storici l'esistenza prima del 1948 di una entita' statuale palestinese. Oggi la sua effettiva e inconfutabile assenza, consente di rappresentare i suoi eventuali futuri abitanti come un branco di straccioni, senza patria.
Questo e' il motivo per cui i Rom vengono considerati meno di niente in gran parte dell'Europa. La costruzione dell'identita' e' oggi imprescindibile da una base geografica, a differenza dei secoli passati.
A sostegno di Israele e contro l'idea di Palestina c'e', da parte dell'"Occidente", la similitudine culturale percepita ma non necessariamente presente; c'e' la percezione di una contrapposizione, errata, tra la nazione israeliana tecnologicamente, urbanisticamente avanzata contro una pletora di "paesi arabi" i cui abitanti si spostano solo con il cammello, vivendo negli intermezzi in capanne con il tetto di paglia.
Guardare i media dell'area fornisce un'idea piu' aderente alla realta' fattuale.
Leggere con attenzione le notizie su Israele fa scoprire come i piu' fanatici e settari sostenitori di Israele stesso siano persone che potevano definirsi, ed erano visti come, russi, statunitensi, italiani, tedeschi, australiani e cosi' via.
Persone che in realta' soffrono di crisi di identita', paragonabili ai convertiti di qualsiasi religione che si distinguono per una adesione puntuale, formale, indiscutibile al canone, piu' realisti del re.
Queste persone si sono convertite alla religione dell'identita' a tutti i costi.
La loro storia personale li ha portati all'adesione all'identita' ebraica, a identificarsi con i "veri ebrei".

Oggi si discute ancora della creazione di uno stato o di due stati.
A questo punto, vista la diffusione nei paesi dell'area dei dieci milioni di persone di origine palestinese, si potrebbe discutere anche di creare una entita' sovrannazionale per favorire la riassimilazione di coloro che sono dispersi.
Persi per persi e' un'idea da discutere.
Non sono d'accordo sulla bonta' dell'idea della discussione prima di tutto,le persone che vengono bombardate a Gaza, i coloni dei territori che dormono con il fucile a fianco.
Negli anni queste persone hanno sostenuto governi che a loro volta sostenevano gruppi sovrannazionali piu' grandi.
Sostenere che Israele sia solo un lacche' degli Stati Uniti riduce e toglie dignita' alle persone che li' vivono. Lo stesso vale per i palestinesi accusati di essere, solo ed esclusivamente, strumenti dell'alleanza panaraba; esseri umani visti come masse da contrapporre ad altre masse.
Intanto altre bombe cadono dagli aerei, altre bombe esplodono legate a delle persone.
In Italia persone che mai hanno visto una guerra, mai hanno combattuto una guerra, parlano di essa e della sua necessita' senza rendersi conto che il realismo, l'accettazione della dualita' bene/male di ogni individuo e di ogni stato, non porta necessariamente all'apologia della guerra.
Mio padre e' stato in guerra, la seconda, fu catturato in Albania durante la ritirata dalla Grecia. Rimase prigioniero per due anni in Germania. Era marconista in artiglieria.
E' partito per la guerra a venti anni, prigioniero a ventitre. Conoscevo i suoi coetanei che avevano fatto la stessa cosa. Non ho mai sentito nessuno di loro, neanche come accenno casuale, parlare delle eventuali morti da loro provocate.
In compenso ho sentito persone piu' giovani, che avevano visto il fronte, la violenza ma non avevano combattuto veramente, parlare della cruda necessita' a volte della guerra.
Ho sentito queste persone chiamare terroristi persone che sono in guerra da anni. Forse queste persone, e anche quelle piu' giovani, pensano che la guerra sia solo quella vista in televisione, non capiscono che frasi come "guerra al terrore" sono stronzate senza senso, nomi nuovi per una cosa che si chiama spionaggio, controspionaggio, operazioni coperte; cose necessarie, a volte e purtroppo, ma che per fortuna non creano i lutti e i drammi di una guerra. Il fatto che una eliminazione mirata e completamente clandestina sia la norma non porta come conseguenza alla giustificazione della guerra vera.

Con questi biases percettivi, che speranza c'e' di avere un dialogo aperto?
La speranza c'e' ancora ma richiede un minimo di sforzo necessario per tollerare le intemperanze dei miei amici palestinesi che ce l'hanno con gli ebrei (qui senza virgolette) e non solo con Israele ma che non fanno male a nessuno, le intemperanze di commentatori che hanno quel trigger mentale che scatta appena si scrive la parola Israele vicino alla frase "non e' giusto".
Chi commenta seduto puo' anche provare a esercitare questa forza su se' stesso invece di distribuire copie dei protocolli dei savi di sion (in minuscolo perche' e' una merdata) o le patenti di antisemita.